Follath Erich - 2016 - Al di là dei confini by Follath Erich

Follath Erich - 2016 - Al di là dei confini by Follath Erich

autore:Follath Erich [Follath Erich]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Travel, Pictorials
ISBN: 9788858426869
Google: ZM02DwAAQBAJ
editore: Einaudi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Nel quartiere degli immigrati. Non si può definire Bağcılar attraente o comunque interessante. Condomini costruiti in fretta si alternano a case in mattoni basse e sovraffollate, nelle strade strette la biancheria è appesa a fili di fortuna, non si può sfuggire al baccano del traffico di due tangenziali troppo vicine. Fuori dal centro, nella parte europea della città ma distante chilometri dai luoghi turistici, questo distretto di Istanbul è del tutto sconosciuto. Ma ha un primato: è il piú popoloso dei ventinove distretti della città, qui vivono ottocentomila persone dei quasi quindici milioni che abitano nella metropoli. Per molti nuovi immigrati che arrivano qui dall’Anatolia o da altre parti della Turchia, Bağcılar è il punto di partenza, la prima tappa. E ne arrivano sempre di piú.

«Benvenuti! – ci saluta una gigantografia a un incrocio. – Che il nostro successo prosegua e che Istanbul continui a crescere!» Ma i bordi del cartellone sono strappati e sventolano impotenti. È lecito dubitare che l’invito a rimanere in città, a piantarvi le tende, sia serio. Sembra che la maggior parte degli abitanti pensi che non ci sia piú posto. La città scoppia, i traghetti che fanno la spola tra il Mar di Marmara, il Corno d’Oro e il Bosforo sono costantemente stracarichi. Istanbul trabocca, dicono molti benestanti, e additano anche i profughi siriani: nessun paese accoglie cosí tanta gente in fuga dalla guerra civile come la Turchia. Si sono riversati nella metropoli dai centri di raccolta, sostengono. E temono questo afflusso ancor piú dei curdi dell’Anatolia.

Ma naturalmente c’è qualcos’altro. Proprio a Bağcılar. «La gente dei quartieri alti non sa come vanno le cose da noi», dice Cem Dioğliu, presidente di un’organizzazione senza scopo di lucro che si occupa degli immigrati a Istanbul. È arrivato in città da quindici anni, da Van, all’estremità orientale del paese. Da tempo ha portato qui la moglie e i due figli. La famiglia è tra quelle che a Istanbul ce l’hanno fatta. Hanno una piccola impresa tessile, danno lavoro a otto donne. Dioğliu è convinto che la metropoli possa accogliere ancora molta gente dalla campagna, che valga la pena di venire qui. E racconta sempre come egli tenga degli incontri al paese natale per chi vuole informarsi. «Però parlo sempre anche delle grandi difficoltà».

Da che cosa esattamente mette in guardia i suoi conoscenti?

«Non devono illudersi che chi si è trasferito da tempo aspetti solo loro. Le pietre e la polvere delle strade non sono certo d’oro, come qualche volta si sente dire in provincia. Devono lavorare sodo, imparare a mettere a frutto le proprie capacità, e allora hanno delle buone opportunità. Parecchie migliaia di persone, qui a Istanbul, hanno raggiunto un discreto benessere, e anche qualcosa di piú. Oggi come un tempo è un buon posto per salire i gradini della scala sociale». Ma allo stesso tempo è difficile disfarsi di questa immagine di rozzezza rustica. «Quelli nati a Istanbul vedono se stessi come élite urbana, si definiscono “turchi bianchi”; noi ci chiamano “turchi neri”, e ovviamente da questa espressione denigratoria traspaiono molti pregiudizi», afferma Cem Dioğliu.



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